1. La conciliazione nell'antichità
La storia della conciliazione è vecchia come il mondo. Nelle società patriarcali esisteva il c.d. “saggio” incaricato di dirimere le controversie tra i componenti della comunità.
Con l’avvento dell’impero romano si usava tentare di risolvere una controversia mediante la conciliazione delle parti prima di recarsi davanti al pretore. Qualora le parti fossero arrivate ad un accordo mediante l’intervento di un terzo, il magistrato si limitava ad emettere una sentenza conforme all’accordo raggiunto.
Anche nel mondo cattolico si riscontrano numerosi esempi di mediazione finalizzati alla conciliazione. I parroci svolsero e svolgono tutt'ora opera di conciliazione per dirimere le controversie insorte tra i fedeli, mentre le alte sfere ecclesiastiche svolsero e continuano a svolgere anche oggi attività di mediazione diplomatica fra gli Stati belligeranti.
2. La conciliazione nel mondo moderno
Mentre nei paesi anglosassoni viene fin da subito utilizzato il termine "Mediation", in Italia è il termine "Conciliazione" ad essere ritenuto più consono per evitare che venisse confusa con la mediazione "immobiliare".
La conciliazione, poi mediazione trae origine da alcuni studi sulla negoziazione portati a termine presso l’Università di Harvard negli Stati Uniti d’America all’inizio degli anni ‘70 diffondendosi successivamente nel mondo anglosassone. Come poi avverrà anche in Italia, in quei Paesi all’inizio l’istituto della mediazione finalizzato alla conciliazione si rese necessario come strumento per alleggerire il carico di lavoro dei giudici, offrendo alle parti la possibilità di risolvere le controversie attraverso l’attività di una terza persona imparziale senza escludere la possibilità di far valere le proprie pretese dinnanzi al giudice nell’ipotesi in cui un accordo non fosse stato raggiunto.
Da oltre oceano il metodo di risoluzione alternativa delle controversie si diffuse dapprima nel Nord Europa e successivamente in tutta Europa dove incominciarono a presentarsi le stesse problematiche di sovraccarico di lavoro dei giudici civili già avvertite nei paesi anglosassoni. In Italia, prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 28/2010, l’istituto ha avuto natura volontaria con un'incidenza del tutto marginale.
Il 2 luglio 2004 la Commissione europea adottata il codice di condotta per i mediatori che stabilisce una serie di principi ai quali i singoli mediatori possono spontaneamente aderire. Il codice è applicabile a tutti i tipi di mediazione in materia civile e commerciale. Gli organismi sono così tenuti ad elaborare codici più dettagliati adatti allo specifico contesto in cui operano o al servizio di mediazione offerto. L’adesione al codice non pregiudica la legislazione nazionale né le regole che disciplinano le singole professioni.
3. La Direttiva 2008/52/CEI
Il Commissione Europea emana successivamente la Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.
La Direttiva, pur essendo riferita principalmente alle controversie “trasfrontaliere” in materia di diritti disponibili, concede la facoltà agli Stati membri di applicare le disposizioni in essa contenute anche alle procedure di mediazione svolte in ambito nazionale. La Direttiva contiene le linee guida lasciando liberi gli Stati di prevedere ulteriori norme più stringenti con lo scopo di favorire la mediazione senza, tuttavia, renderla obbligatoria.
L’obbiettivo principale è indubbiamente quello di snellire il lavoro dei giudici offrendo alle parti la possibilità di affidare la risoluzione delle proprie controversie ad uno o più conciliatori, senza peraltro privarli della tutela giurisdizionale in caso di mancato accordo. In altri termini la tutela giurisdizionale viene "posticipata" ma non evidentemente preclusa.
I punti salienti della Direttiva 2008/52/CE sono:
- formazione dei conciliatori;
- possibilità di conferma degli accordi raggiunti tramite la mediazione in sede giurisdizionale;
- tutela della riservatezza;
- sospensione dei termini di prescrizione e decadenza durante la procedura di mediazione.
La data di recepimento della normativa comunitaria è stata allora fissata entro il 21 maggio 2011.
4. Il recepimento della Direttiva
Per darne attuazione, il Parlamento italiano ha adottato la legge 18 giugno 2009 n. 69, contenente “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, introducendo una serie di riforme nella disciplina del processo civile.
L’art. 60 della suddetta legge contiene una delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale da attuarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore. Il legislatore delegante si è mosso quindi sul solco della tradizione prevedendo che la mediazione fosse disciplinata anche attraverso l’estensione delle disposizioni del D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 che disciplinavano la materia degli organismi per la allora cosiddetta "conciliazione societaria".
Il legislatore italiano si propose una serie di obbiettivi che si riveleranno tuttavia ambiziosi: alleggerire il carico di lavoro degli organi giudiziari, contribuire alla diffusione della cultura della mediazione, valorizzare le esperienze di conciliazione stragiudiziale già esistenti, minimizzare l’intervento statale nel settore.
A tal fine erano state previste tre tipologie di mediazione: obbligatoria, volontaria (sostanzialmente l'unica già esistente), delegata dal giudice.
5. Il D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28
Il Governo esercita così il potere conferitogli dal Parlamento emanando il D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che ha il merito di dettare per la prima volta una disciplina omogenea in un settore come quello degli ADR in precedenza disciplinato in modo del tutto frammentario.
Il D.lgs. esordisce con una serie di definizioni relative ai termini di mediazione, mediatore, conciliazione, organismo, registro.
Nel linguaggio comune i termini di mediazione e conciliazione sono usati promiscuamente ma la normativa introduce definitivamente il termine "mediazione come l’attività che precede la conciliazione, mentre la conciliazione è esclusivamente il risultato positivo dell’attività di mediazione che pone fine ad una controversia.
Per controversia si intende una situazione di crisi nei rapporti contrattuali fra soggetti che può essere risolta attraverso accordi condivisi tra le parti mediante l'intervento di un soggetto terzo, il mediatore, rispetto alla controversia piuttosto che attraverso una sentenza del giudice che definisca esclusivamente torti e ragioni.
Per quanto riguarda i soggetti preposti alla mediazione, il D.lgs. distingue il mediatore dall’organismo che amministra la procedura di mediazione e che conferisce l’incarico al mediatore.
Il primo è una, o talvolta più persone fisiche, che accompagna le parti nella ricerca di un accordo il più possibile condiviso, privo del potere di imporre una decisione vincolante, mentre il secondo è un organismo, pubblico o privato, presso il quale può svolgersi la mediazione.
Come detto, il vero motivo che ha indotto il legislatore europeo prima e quello nazionale poi a valorizzare l’istituto della mediazione è la sua capacità di alleggerire i carichi di lavoro dei giudici civili e per fare ciò l’art. 5, comma 1, del D.lgs. 28/2010 ha reso obbligatorio il tentativo trasformandolo in condizione di procedibilità per poter adire il giudice civile in determinate materie. Inoltre, muovendosi nella stessa ottica, ha apportato modifiche al regime delle spese processuali addossandole alla parte che aveva rifiutato la proposta di conciliazione, anche se risultata vincitrice, in caso di piena coincidenza fra la proposta conciliativa e la decisione del giudice. Inoltre con la possibilità di essere condannato a pagare una somma di denaro a titolo di sanzione processuale in misura pari all’entità del contributo unificato dovuto per quella tipologia di causa.
Dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del D.lgs. 28/2010 il Ministero della giustizia ha emanato il D.M. n. 180 del 18 ottobre 2010 contenente il Regolamento per la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 D.lgs. 28/20010.
Dalle disposizioni ministeriali emerge che il mediatore deve possedere specifici requisiti tra i quali un’adeguata preparazione nelle tecniche di mediazione nonché uno specifico aggiornamento di 18 ore al biennio acquisito presso enti di formazione individuati dal citato D.M.
L’applicazione della nuova disciplina incontrò subito l’avversione e la ferma critica dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana (OUA) secondo la quale la mediazione si risolve soltanto in un allungamento dei tempi del processo senza alcun effetto deflattivo.
Dal lato opposto non sono mancate tesi secondo cui per essere un buon mediatore non è necessario essere un giurista, anzi per taluni il giurista incontra una notevole difficoltà a svolgere il ruolo di mediatore.
Secondo altri è necessaria una conoscenza sì generale del diritto, ma la cosa più importante è saper gestire il conflitto.
Le perplessità suscitate, nonché le esigenze di maggiore qualificazione professionale dei mediatori, hanno indotto il Ministero della giustizia ad adottare il decreto 6 luglio 2011, n. 145 contenente il Regolamento recante modifica al D.M. 18 ottobre 2010, n. 180, sulla determinazione dei criteri e modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché sull’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. 28/2010 mediante il quale veniva introdotto l’obbligo per il mediatori di partecipare ad un’attività formativa denominata tirocinio assistito, che consiste nell’assistere ad almeno 20 casi di mediazione nel corso di un biennio in modo da affiancare alla formazione teorica quella pratica.
6. La sentenza della Corte costituzionale del 6.12.2012, n. 272
Contro le disposizioni del D.lgs. che avevano introdotto il tentativo di conciliazione obbligatorio vengono sollevate numerose ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale da parte dei giudici di merito.
I profili di incostituzionalità lamentati sono diversi, ma il più importante riguarda il contrasto tra la disciplina contenuta nell’art. 5, comma 1, che considera la mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materie, con gli artt. 76 e 77 della Costituzione, in tema di legislazione delegata.
La Corte, ritenendo assorbente il motivo principale, non ha ritenuto di effettuare un esame nel merito degli altri profili di incostituzionalità sollevati, stabilendo che, né la Direttiva comunitaria né l’art. 60 della legge delega n. 69 del 2009 autorizzavano il Governo ad introdurre l’obbligatorietà della mediazione. In altri termini l’illegittimità costituzionale delle disposizioni del D.lgs. 28/2010 derivava da un eccesso di delega.
Pertanto, la Corte ha ravvisato solo un difetto formale, ma non ha dichiarato l’illegittimità della mediazione di tipo obbligatorio. Anzi, in taluni passaggi della sentenza, afferma che la Direttiva comunitaria 2008/52/CE è neutra, nel senso che lascia agli Stati membri la facoltà di rendere obbligatorio il ricorso alla mediazione.
Dopo la sentenza della Corte che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1 del D.lgs. 28/2010 nella parte in cui era previsto l’esperimento della procedura di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materie, l’ambito di applicazione delle disposizioni contenute nel D.lgs. 28/2010 si restringe così alle procedure di mediazione volontarie, a quelle delegate dal giudice e a quelle derivanti da clausole contrattuali.
7. La reintroduzione della mediazione obbligatoria
La decisione della Consulta ha avuto il pregio di sviluppare un vivace dibattito sull’opportunità di reintrodurre l’obbligatorietà della mediazione in materia civile e commerciale attraverso meccanismi di incentivazione e sanzionatori che orientino il cittadino ad accettare forme alternative di giustizia.
Emerge, seppur sia stato breve il periodo di vigenza dell’obbligatorietà della mediazione come l'istituto non si sia rivelato inutile, considerato anche l’ostruzionismo posto in essere dalla classe forense; del resto è la stessa Corte costituzionale a sostenere che l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione non contrasta con il diritto di azione. Senza contare, poi, che dall’entrata in vigore del D.lgs. 28/2010 sono stati creati più di 900 organismi di mediazione.
L’istituto della mediazione, inoltre, mette in luce importanti vantaggi come per esempio la mancanza di vincolo del mediatore all’oggetto della domanda come avviene invece per il giudice. In realtà, il vero ostacolo al diffondersi di questo strumento appare sempre più legato alla scarsa cultura della mediazione che, come detto, non trova in primis fiducia di buona parte della classe forense, per differenti ragioni. Appare sempre più necessario far comprendere alle parti in lite che la decisione adottata dal giudice, volta a dare ragione ad una e torto all’altra, non è l’unica forma di giustizia e modalità di affrontare la controversia.
8. Il “decreto del fare”
Con il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, contenente misure urgenti per il rilancio dell’economia, comunemente noto come “decreto del fare”, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, il Governo ha apportato modifiche al D.lgs. 28/2010 riproponendo la mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale cercando di depurarla dai profili di incostituzionalità rilevati dalla Corte (art. 84).
La reintroduzione avviene "a tempo" essendo di fatto provvisoria fino al settembre dell'anno 2017.
All’art. 5 del D.lgs. cit. viene introdotto un comma 1-bis,che va a sostituire il comma originario, contenente un elenco di una serie di materie per le quali è obbligatorio esperire il procedimento di conciliazione prima di adire il giudice civile.
Rispetto alla precedente versione vengono eliminate le controversie relative a sinistri da circolazione di veicoli e natanti e inserite quelle derivanti da responsabilità mediche.
Viene inoltre, inserito un comma 2-bis secondo cui, quando il procedimento di conciliazione è previsto come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro davanti al mediatore si conclude senza il raggiungimento dell’accordo.
Vengono apportate anche modifiche alla mediazione disposta dal giudice che era sopravvissuta alla pronuncia di incostituzionalità. Il testo previgente prevedeva la facoltà del giudice di invitare le parti ad attivare un procedimento di mediazione. Le parti erano libere di aderire o meno. La nuova versione del 2° comma dell’art. 5 rafforza il ruolo del giudice conferendogli il potere di disporre, anche in sede di appello, il tentativo di conciliazione. Viene, quindi, introdotta una nuova figura di conciliazione obbligatoria in sede di appello che prenderà il nome di "mediazione delegata". .
E’ rimasta, invece, sostanzialmente immutata la fattispecie della conciliazione contenuta in una clausola contrattuale o nell’atto costitutivo di un ente e il tentativo non sia stato esperito (art. 5, comma 5). In tal caso può essere disposta solo su istanza di parte dal giudice o dall’arbitro.
Un’altra modifica di rilievo riguarda la durata del procedimento di mediazione che da 4 mesi è stata ridotta a 3.
Importante è anche la disposizione contenuta nell’art. 8 che prevede lo svolgimento di un primo incontro per verificare la possibilità di proseguire nella procedura di mediazione nonché l’assistenza obbligatoria di un avvocato. Al fine di spingere le parti a partecipare alla mediazione, la legge prevede che, in caso di mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, il giudice oltre a desumere elementi di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c., condanni la parte che non ha partecipato al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Inoltre, quando il provvedimento del giudice che definisce il giudizio corrisponde integralmente alla proposta avanzata dal conciliatore, il giudice deve escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta condannandolo al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente nonché al versamento al bilancio dello Stato di un’ulteriore somma corrispondente al contributo unificato.
Quando, invece, non vi sia un’esatta corrispondenza tra il provvedimento che definisce il giudizio e la proposta conciliativa, è in facoltà del giudice, in presenza di gravi ed eccezionali ragioni, escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto nei casi in cui è prevista la nomina (art. 8, comma 4, D.lgs. 28/2010).
Altre modifiche consistono nell’inserimento dell’accordo di mediazione che accerti l’usucapione tra gli atti soggetti a trascrizione, ai sensi dell’art. 2643 c.c., nel contenimento delle spese e in un maggior coinvolgimento della classe forense con la disposizione che considera gli avvocati regolarmente iscritti come mediatori di diritto.
Nel giugno 2017 il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva la legge di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 in materia finanziaria (cd. Manovrina) che contiene la modifica al d.lgs. 28/2010, finalizzata alla stabilizzazione della mediazione obbligatoria che diventa quindi "permanente".